lunedì 11 aprile 2016

Al MET un nuovo vivaio per la comunità



Il cortile del Museo Etnografico è un luogo dell’anima: della memoria e insieme del presente, dei semi deposti oggi con amore e dei frutti che, con un sorriso compiaciuto, ci auguriamo di poter raccogliere domani. È uno spazio di condivisione e comunità, di festa e di fatica: la sede ideale per il vivaio di amarMET.
Su un prato che sfuma in campagna, dove il cortile sembra quasi abbracciare un grande campo, abbiamo dato inizio ad un’opera meditata e rimeditata per mesi, che costituirà uno dei fulcri portanti del nostro progetto, simbolo di ciò che desideriamo sia il MET anche in futuro. Un museo concepito come punto d’incontro e scambio culturale, come fucina di nuovi modelli per fare agricoltura, rispettando l’ambiente, l’integrità del paesaggio, le specie autoctone, i riti e i ritmi della tradizione.
Il vivaio, dalla caratteristica forma a mezzaluna, ha lo scopo di riprodurre piante da frutto attraverso portainnesti o semi, per favorire la diffusione e la propagazione di varietà arboree forestali ritenute autoctone.
La piantumazione dei portainnesti è avvenuta all’interno di un solco lungo circa dieci metri, con una sezione ad angolo retto di quaranta centimetri di lato, scavato interamente a mano.
Questo gesto, apparentemente semplice, nasconde una valenza profondissima. Una fatica affrontata insieme, con allegria, per raggiungere un obiettivo comune, fortifica i rapporti e riconduce la percezione del proprio tempo all’armonia con il naturale fluire delle cose. Mentre il sudore imperla la fronte e le braccia dolgono per lo sforzo, il ristoro è nel canto degli uccelli, nella lieve brezza che sfiora le fronde, nel sentirsi parte integrante di un ecosistema da preservare anche tramite il proprio lavoro.
Dopo aver mescolato il terriccio ottenuto dallo scavo con il fertile compost, abbiamo preparato  i portainnesti, cimandone chioma e apparato radicale per agevolarne la crescita vegetativa, abbiamo innaffiato le loro radici e infine li abbiamo messi a dimora.
La terra rimanente è stata utilizzata per richiudere il solco, premendola leggermente intorno ai portainnesti. A questi ultimi sono state legate delle canne, per fungere da tutori nella crescita delle piantine.
L’atto finale, che ha sancito la nascita del nuovo vivaio, è consistito nell’innaffiare abbondantemente il solco, affidando le piccole creature alla bontà del clima e alle cure amorevoli di ciascuno. Nella speranza che i fuochi di marzo, ardendo pochi giorni fa nel cortile antistante il museo, abbiano scacciato l’oscurità dell’inverno e assicurato un raccolto propizio.

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