lunedì 21 marzo 2016

Un filo rosso che attraversa i millenni



Ogni volta che i miei occhi si soffermano sul fuoco, penso al primo uomo che lo vide.
Quel giorno doveva esserci un cielo nero e minaccioso, l'aria era pesante e gonfia di un odore di umidità, il vento che soffiava da nord non prometteva nulla di buono. Il nostro antenato si strinse nelle spalle mentre cercava il suo riparo per la notte. D'improvviso un fulmine abbagliante divise quelle nuvole in due, un rombo assordante fece tremare tutto quanto. Quell'uomo chiuse gli occhi, strinse i denti, un gesto istintivo... poi, quando lì riaprì, quella luce che aveva attraversato il cielo si era posata sulla terra e la sua forza devastante aveva tagliato in due un albero robusto, facendolo schiantare al suolo. Lui ne ebbe paura, istintiva anch'essa.
Era un uomo come tutti gli altri, ma di tutti gli altri era più curioso. Si avvicinò. Pochi passi e non ebbe più bisogno di stringersi nelle spalle. Contemplò quel dono che il cielo aveva voluto offrirgli.
Ciò che videro i suoi occhi è esattamente ciò che vedono i miei.

Michele Vescio 

sabato 19 marzo 2016

«Tradizione non è culto delle ceneri, ma custodia del fuoco» (Gustav Mahler)


Emettendo flebili bagliori rossastri le focarine esalano l’estremo respiro, mentre il vociare degli ultimi presenti diviene sommesso. I bimbi, colti dal sonno, tirano con le loro manine la giacca della mamma, perché è ora di andare a casa, a raggiungere l’orsetto di pezza sotto le coperte. C’è chi ha bevuto un Sangiovese di troppo: si trattiene, esita, attende che il mondo freni un poco il suo folle vorticare. La maggior parte delle persone ha già lasciato il cortile, la bocca dischiusa in un sorriso.
Un altro anniversario di San Giuseppe tramonta, facendo scivolare negli animi una sensazione agrodolce: la bella stagione è alle porte, l’aria per la prima volta profuma di primavera, ma è pur sempre finita una festa. Una festa di fuoco: nei bracieri fuoco bollente, vivido, scoppiettante; nei cuori quella scintilla che solo l’esperienza della tradizione può ancora alimentare.
La fiamma va spegnendosi sotto le teglie di terracotta, lasciando il posto alla cenere. Eppure, laggiù nei campi, i solchi dell’aratro ardono come scie di comete infuocate, l’impugnatura della falce è bollente, febbrilmente ansiosa di essere nuovamente stretta, i buoi fremono scalpitanti per tornare sotto il giogo. La tradizione è fuoco, vita vissuta e da vivere insieme: replicare gesti e costumi, immedesimarsi negli stati d’animo, comprendere che il nostro agire qui e oggi dipende anche dalla direzione che hanno intrapreso i nostri avi, sulle cui orme per secoli abbiamo camminato.
Non saranno le ceneri delle focarine a ricordarci una festa ormai trascorsa, immagini sbiadite e offuscate dal fumo del tempo: sarà il fuoco vivo che i nostri occhi hanno bevuto dalla loro fiamma ad ardere nel nostro cuore e a perpetuare ancora una volta la tradizione che esse rappresentano. 
Un grandissimo grazie da parte di tutto lo staff a coloro che ci hanno sostenuto e hanno reso possibile, con il loro lavoro e la loro disponibilità, la buona riuscita di questa festa dedicata a tutta la nostra comunità. E uno speciale ringraziamento a voi, che siete venuti a trovarci numerosissimi e a condividere il senso profondo del progetto amarMET. Continuate a seguirci, arrivederci al prossimo appuntamento!

mercoledì 16 marzo 2016

Vittoria!!!




A premiare i mesi di intenso lavoro di tutto il gruppo che ha plasmato amarMET, da oggi il progetto può fregiarsi del titolo di vincitore del Bando "Giovani per il territorio" II edizione 2016, promosso dalla Regione Emilia-Romagna (Progetti vincitori II edizione 2016).

Il sostegno della Regione ci consentirà di realizzare una lunga serie di iniziative, che mirano a realizzare un modello virtuoso di valorizzazione del patrimonio rurale da applicare anche oltre le scadenze del Bando.

sabato 12 marzo 2016

amarMET scalda i motori (e i cuori): fuochi di San Giuseppe al MET

AmarMET atto primo. La ricetta è semplice: prendere una festività tradizionale, il giorno di San Giuseppe, invitare la comunità a viverla concentrando l'attenzione sulla simbologia degli atti e degli oggetti, condire il tutto con buon cibo e danze folkloristiche. Poi, mentre la festa è già in pieno svolgimento, incontrare le persone e con il sorriso coinvolgerle, anche soltanto a parole, nel nostro progetto.
Condivisione, partecipazione, percezione di comunità.





Come accade per tante "prime volte", l'organizzazione di quanto leggete sul volantino è stata laboriosa e complessa, ma con la tenacia e il contributo di ognuno ce l'abbiamo fatta.
Non rimane che raccomandarvi di farci visita, anche solo per qualche minuto, e riempire l'aia di voci festanti, come accadeva tanti anni fa, sperando che la bella stagione sia propizia e il raccolto abbondante!  

venerdì 11 marzo 2016

amarMET: un progetto di valorizzazione

Peter Bruegel il Vecchio, "La mietitura", 1565 (Wikipedia.org)

L'immensa distesa di spighe cede, un colpo dopo l'altro, alle grandi falci dei mietitori. Celato da una macchia poco distante e immerso in un mare di grano, il campanile della chiesa ha appena battuto dodici rintocchi.
L'estate è iniziata soltanto da poche settimane, ma già la calura di mezzogiorno fiacca le forze e costringe i contadini a cercare ristoro sotto le fronde benigne di un albero. Alcuni, colti da una sorta di trance, continuano a roteare ritmicamente i propri strumenti o a chinarsi a terra per formare i fasci, mentre il più pigro di tutti ha ceduto all'irrefrenabile bisogno di schiacciare un pisolino. I più sono intenti al pranzo: zuppa e companatico, accompagnati da un sorso di vino.
Lasciamo scivolare lo sguardo sulla punta delle spighe, seguendo il declivio del colle, voliamo verso valle insieme ai due uccelletti e abbracciamo con un sorriso una visione di laboriosa pace. Un carro già carico di fasci si attarda sulla placida riva di uno specchio d'acqua, mentre un secondo campanile riecheggia i rintocchi di quello accanto a noi; un gruppo di contadini più solerte del nostro protrae ancora il proprio lavoro, ma ecco che dal villaggio arriva una voce: il pranzo è pronto!
Ora spingiamo la nostra vista poco più in là delle case: un altro campanile, con la sua punta, guida lo spettatore a contemplare la linea sinuosa di un golfo baciato dal sole, ove alcune navi da trasporto hanno gettato le ancore. I marinai, su imbarcazioni più piccole, stanno traghettando a riva il loro prezioso carico.
Non ha qualcosa di familiare questa "fotografia" di quasi cinquecento anni fa? L'immagine di una campagna rigogliosa che va a sfumarsi in una costa pescosa, di un mare di spighe a contatto con un mare d'acqua?
A noi ragazzi di amarMET ricorda tanto il paesaggio che si ammira dalle pendici del Monte Giove, su cui sorge il borgo vecchio di Santarcangelo.
Se, a bordo di un'immaginaria macchina del tempo posizionata sulla cima del Campanone, potessimo d'un tratto rivolgere lo sguardo al territorio clementino di ottanta come di ottocento anni fa, non ci troveremmo davanti ad una situazione molto diversa da quella dipinta da Bruegel nei suoi Paesi Bassi.
Oggi, evidentemente, la realtà è molto cambiata: è mutato il paesaggio, sono mutati gli attrezzi, l'approccio al lavoro della terra, l'animo di chi la coltiva. Ma questo cambiamento perenne e sempre più rapido porta con sé il rischio di smarrire il ricordo del passato, di dimenticare l'origine dei nostri passi, di non riuscire a cogliere il senso profondo del percorso che ci ha condotto fin qui.
AmarMET nasce proprio per questo: ridare voce alla tradizione, valorizzare quei beni culturali materiali ed immateriali che anche vite apparentemente poco interessanti come quelle dei mietitori di Bruegel hanno prodotto, dalla domesticazione della prima piantina migliaia di anni fa alla fusione del versoio in metallo alla fine del XVIII secolo, fino ai nostri giorni.
Se vorrete seguirci, al suono di una mazurca vi condurremo alla scoperta di bellezze che nemmeno immaginate...